Biserno 2009 92-93
Biserno 2010 91
Il Pino 2010 90
Non posso dire di conoscere personalmente Lodovico Antinori. Ricordo solo una nostra conversazione telefonica abbastanza lunga, quando ancora possedeva l’Ornellaia. In compenso ho assaggiato moltissime volte i suoi vini, ricavandone impressioni di curiosità e suggestione forte, sempre. Vini non per timidi, ma decisi, dichiarati, innovativi, che solleticano l’intelletto, il gusto, tesi inoltre verso un’idea dichiarata di bellezza, di godimento. Non c’è dubbio che con Lodovico Antinori ci troviamo di fronte ad una personalità e sensibilità straordinaria verso il vino, che ha vissuto molti anni all’estero, educato dunque a continui assaggi sulle più importanti etichette internazionali, poliglotta e poliedrico, con una conoscenza infinita dei territori, dei vitigni e di tutto il nuovo che si va proponendo nel mondo. Uomo, credo, anche di positiva inquietudine e mai soddisfatta aspettativa nei confronti del grande vino. E questo, posso dire, me lo rende caro, perché parliamo insomma di un vero e proprio autore, che vive tematiche che mi intrigano e, presumo, coinvolgano tutti gli appassionati a vini tutt’altro che banali.
Al tempo stesso occorre anche chiarire meglio come Lodovico Antinori non sia un autore di vini difficili e scabri, da culto. Se vogliamo allargare la metafora alla cinematografia, non è insomma un regista di delicate ed intense pellicole, un po’ autoreferenziali da presentare al Sundance Festival, ma sicuramente è più uno Steven Spielberg, meticoloso, un autore di film-fiume pieno di personaggi, maniacale in ogni particolare del lavoro e del mestiere, e al tempo stesso con una visione ed un respiro spettacolare e grandioso della propria opera.
I suoi vini partono da un punto fermo e certo, che è la Toscanità. Questo il suo centro nevralgico, il suo ombelico, il suo nucleo. Ma da qui inizia poi un’indagine sofisticata, colta, che mette in discussione e sotto la lente di ingrandimento tutto, territorio, microclima, singole parcelle di vigna, possibili vitigni, biotipi e le infinite tematiche che un rosso comporta, nella ricerca e nel metodo, per riuscire a plasmare secondo la propria idea e gusto il grande rosso. La mano dunque nei suoi vini si sente e vuole esserci, perché deve sbozzare il marmo, far uscire la forma, la quintessenza degli elementi contenuti.
Il progetto Tenuta di Biserno, pieno com’è di echi intellettuali, non può così non incuriosire, proprio perché è la sfida successiva all’Ornellaia, per giunta a pochi chilometri da lì, con vigne più in alto e di diverso assetto geologico.
Arrivo subito al Lodovico 2008, perché è stato nei fatti uno degli assaggi emozionanti dell’anno, una di quelle etichette che ti fanno pensare ed aiutano a capire un autore, un progetto e cosa può essere il vino. Sgomberiamo però subito il campo da un altro nome che potrebbe aleggiare come un fantasma in questa storia, che è appunto quello del Masseto, di cui Lodovico Antinori è stato il primo autore a partire da una prova dell’86, iniziando poi ad imbottigliare il vino con la vendemmia ’88. Parliamo in questo caso di un Merlot in purezza dallo stratosferico spessore, che approfondisce a tal punto il carattere del vitigno quasi da riscriverlo, ampliandone i confini ed i lineamenti, rosso tra i più belli ed importanti in assoluto al mondo. Ma che è anche il sorprendente risultato del vitigno in una (e solo quella) particolarissima lente di terreno. I tentativi ad allargarne l’area, sin da quei primissimi anni, non hanno mai dato risultati all’Ornellaia. Il Masseto dunque è quello, nasce così solo in quel determinato punto e terreno. In qualche misura, e paradossalmente, non è poi un vino così difficile da replicare in ogni successiva vendemmia, essendo il risultato felicissimo e fortunato, verrebbe da dire, il miracoloso incastro di una combinazione perfetta terreno-vitigno. Tant’è che i cambi di proprietà e di mano che si sono succeduti all’Ornellaia in questi decenni non hanno poi mai modificato il carattere e la riconoscibilià del Masseto, che da allora ha solo la naturale variazione offerta dalla singola e particolare vendemmia.
Proprio per tutte queste ragioni ritengo che sia proprio il Lodovico l’opera più importante e personale del minore dei fratelli Antinori, vino appunto diversissimo dall’altro già nella composizione dei vitigni, trattandosi in questo caso di Cabernet Franc in larga prevalenza, seguito da Merlot e piccoli quantitativi di Petit Verdot, ed opera appunto sicuramente più difficile da realizzare e dunque assai più pensata, meditata, voluta. Prodotta inoltre, da vigneti piantati nel 2002, solo nella vendemmia 2007, poi 2008 e, in divenire, 2011.
L’assaggio di questo 2008, sin dall’esordio nel bicchiere, è stato un colpo al cuore ed ai sensi per quanto i profumi erano originali ed innovativi, succulenti e profondi. La trama aromatica mi è rimasta nella memoria per la travolgenza inedita e contemporaneamente ricchissima di suggestioni di frutto intarsiate e levigate di continuo da raffinatissime vaniglie e dalle tostature del legno. C’è una trama in questo rosso, un viluppo di aromi, un’intensità ed al tempo stesso un virtuosismo sferico talentuoso e inebriante. Frutti di bosco maturi e profondi su strati di cioccolate, nocciole, erbe officinali affondate nell’inchiostro, nel goudron, nella grafite. Parliamo di un rosso di impronta caravaggesca, fortemente chiaroscurato, dalla concentrazione superba, ancora giovanissimo, opulento e grandioso, in cui il legno nuovo ha un ruolo ed un peso, ma tutto trattenuto in una complessità serrata e fresca, che deve dunque ancora pienamente sviluppare la sua epopea di aromi per lunghi anni di bottiglia.
Grandissimo rosso allora, un totem di infinita creatività e superiore prova d’autore su un prodotto eccelso di vigna. Ma perché non è stato riproposto nella 2009, grande vendemmia questa in tutta quell’area?
Mi è stato risposto “Grande vendemmia di sicuro la 2009, eppure in tutte le sue parcelle non c’era quel vino che Lodovico Antinori cercava”. Questo per dire come il rosso estremo sia un grande puzzle intellettuale e creativo, che nasce però e sempre da un risultato particolare ed esaltante di vigna.
Quel Lodovico 2009 non prodotto ci aiuta però a capire la grandezza del Biserno 2009, che appunto lo contiene, etichetta che esprime il grande rosso aziendale a partire dalla vendemmia 2006 in un blend di Cabernet Franc e poi a scalare Merlot, Cabernet Sauvignon, Petit Verdot. Vino che è cresciuto via via esponenzialmente, con una prova già molto felice della 2008. Ma è poi la vendemmia 2009 che “ ci propone un rosso-capolavoro, immenso e intensissimo, di sicuro uno dei più grandi assaggi dell’anno. I suoi profumi, di una profondità e solennità avvolgente, si dipanano a strati chiaroscurati di goudron traboccanti di una polpa di frutti deliziosamente preziosi. La bocca è poi sontuosa e vasta, masticabilissima eppure aristocratica, in cui la solidità si armonizza con la grazia. Connubio di uve mirabili, felicità del luogo ed anche rara raffinatezza compositiva.” Riprendo qui (e mi scuso) quello che ho scritto su La Repubblica recensendolo. Magnifico rosso dunque grasso e opulento, ragguardevole nell’intero panorama italiano, senza tuttavia quell’originalità, direi quell’estremismo e quella complessa rabbia gusto-olfattiva del Lodovico. Qui è tutto più grasso, rilassato, riconoscibile, voluttuoso e sereno.
Il Biserno 2010 poi risente inevitabilmente di una vendemmia meno felice per tutto il comprensorio dell’Alta Toscana, con qualche pioggia di troppo nell’ultima fase di maturazione dei grappoli. Il naso di questa annata è dunque più elegante, articolato, aperto, dalla polpa meno opulenta e concentrata del 2009, ma piena di aromi, mossa, con uno charme più femminino per un tessuto assai vellutato in una trama di frutti neri, fumo, terra bagnata, menta.
Ma in questa annata è davvero ragguardevole la prova de Il Pino di Biserno, che sarebbe il secondo vino aziendale, quando la presenza del Lodovico non lo relega alla terza posizione. E qui occorre anche aggiungere come il rapporto qualità-prezzo sia buonissimo. Il Pino 2010 può essere certo considerata un’anticamera dei vini maggiori, ma già con magnifiche pitture, stucchi e trompe-l’oeil. Medesimo uvaggio bordolese, che tende ad uscire sicuramente prima nel tempo, da godersi appieno tra i suoi 5-8 anni, ma di impatto ragguardevole, armonico e severo, di notevole personalità e persistenza, deciso nel legno, come è nello stile aziendale, ma perfettamente fuso e sapientemente distribuito in una trama di succosi mirtilli maturi e virili bande fumé a percorrerlo in una notevole e vasta nobiltà gustativa. E assaggio davvero da tenere a mente e consigliare.
Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.