Torre del Mare 2009 92
Capitancelli 2011 89
Piana dei Castelli Rosso ’11 88
La sperimentalità assoluta. Matteo Ceracchi, il patron aziendale, ha solo 32 anni, ma già decenni di vendemmie alle spalle in una passione sconfinata per il vino, che vive da sempre come un tentativo continuo, una ricerca a tutto campo mai completamente appagata.
La sua formazione enologica è avvenuta a San Michele all’Adige. Eppure i suoi vini non hanno nulla di scolastico ed ognuno mira anzi ad andare oltre il consueto e l’ovvio. Sono vini che cercano soluzioni di gusto, che varcano i confini e così spiazzano. Forse per questo nessuno ne parla o li recensisce. Ma tacere su quello che non si capisce è già un primo buon sintomo di saggezza. Meglio stare zitti che dire sciocchezze.
Il Torre del Mare 2009 dunque è un uvaggio bordolese splendido, da aprire con qualche ora di anticipo (il ragazzo lavora in riduzione, non fa mai travasi e tutti i suoi vini, bianchi e rossi, guadagnano così da una buona ossigenazione). I profumi così non fanno che crescere man mano nel bicchiere, si approfondiscono in un ventaglio di rigorosa bellezza che va dalle viole appassite ai frutti di bosco catramati su lungo sfondo di fumo. Un quadro autentico e raffinato che si conferma poi in una bocca di grande classe, piena di masticabilità e al tempo stesso straordinariamente profonda, che ti incatena in un infinito goudron.
Ma provate anche il Capitancelli 2011, altro uvaggio bordolese succoso, virile, grasso, imbattibile nel rapporto qualità-prezzo, che è tanto buono, così come del tutto sconosciuto all’eccelsa stirpe degli italioti esperti di vino, impenetrabile, è vero, anche nel colore e questo forse li confonde, con profumi che si aprono a strati in una fantastica freschezza di frutti di bosco largamente inchiostrati e profondi. La palatalità poi è magnifica, ricca, cremosa, aperta ad una superiore gustosità, che non si finisce mai di bere.
Per non parlare poi del Piana dei Castelli Rosso 2011, da tre biotipi di Merlot, che dovrebbe essere una specie di rosso-base dell’azienda, rotondo, pieno e grasso, che costa una bazzecola ed è un bere sontuoso, continuamente appagante.
Il capitolo dei bianchi poi è tutto un nuovo aprirsi di progetti e storie, dal Grigio 2013, un Pinot Grigio ramato che è un’esplosione di profumi deliziosi (frutto della passione in primis), che avremmo voglia di godere tutto in questa prima giovinezza, se non ci fosse poi stato l’assaggio di un di Grigio ’12, restato in vasca per un anno sur lie, una prova, non so, o una necessità per mancanza di altri spazi, che ha rivelato anche complessità e lunghezze impensabili.
Arrivando poi al Follia 2013, taglio di Sauvignon raccolto a fine luglio (a cogliere la freschezza pirazinica degli aromi) e di altri grappoli raccolti invece surmaturi a Settembre (a dare corpo ed aromi preziosamente maturi), che diviene una suntuosa quadratura del cerchio per questo straordinario vitigno della Loira, che qui, ai primi balzi delle colline velletrane, offre un’interpretazione vasta, matura e tropicale di grandissimo rango.
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