Il Contrappunto giugno 2019
La fortuna celata del Montepulciano d’Abruzzo
Di Luciano Di Lello
Spesso la fortuna è futile, capricciosa, ha però un valore immenso nelle nostre vite. Come nient’altro sa segnare il destino di opere e persone, dando l’agio immediato di fama e benessere. Anche se non necessariamente premia la qualità, anzi.
Dalla sua l’arte vera, grande, anche quando viene inizialmente ignorata dalla fortuna, può essere tuttavia ripescata dalla storia. Un dipinto, un romanzo di valore, in quella solidità e stabilità di immagini, parole, possono essere riscoperti dalle generazioni successive ed avere una futura considerazione e destino. Ma cosa accade a vini e territori incompresi, al frutto di profumi e sapori che mutano, che hanno un arco di vita in fieri, un precario picco di bellezza, se negli anni migliori del loro corso quasi nessuno li nota e ne parla, ne scrive?
Mi è capitato spesso di assaggiare vini meravigliosi che davvero in pochi conoscevano, non so se per un’informazione più pigra che incapace, più propensa ad incensare il noto. Ma il mio malessere era nella consapevolezza che un grande vino ignorato, senza la fortuna e la fama, che consentono di investire in vigna ed in cantina e così di crescere in un progressivo circuito virtuoso, rischia di esaurirsi man mano, di non essere più prodotto con quella intensità e quella ricchezza e dunque di scomparire.
Venendo al punto, conosco molti Montepulciano d’Abruzzo di strepitosa qualità e bellezza. Lunghi anni di assaggi ripetuti mi fanno considerare alcuni di questi tra i più grandi rossi del nostro paese. Eppure rimangono quasi sconosciuti e ignorati da noi.
Ho sentito poco tempo fa il Dante Marramiero 2008, etichetta nata con l’annata ’98 e posta da sempre in commercio a 10 anni dalla vendemmia. Un rosso vertiginoso, immenso, ricco al suo interno di idee e sperimentazioni (come quella di lasciare i propri acini a macerare anche per anni nel vino che via via si evolve). Ma comunque, a parte questo, è il risultato che conta e parla di un rosso perentorio. I suoi profumi esplodono nel bicchiere con un carattere profondissimo e catramato, vibrante e dark. Parlo di un maestoso vino severo, eppure dal pentagramma quanto mai vasto ed intenso, palpitante di frutti e inchiostri, di una stabilità avvincente alla bocca, in grado di rivaleggiare con qualsiasi altro grande rosso del mondo. E magnificamente ignorato dalla stampa nazionale.
L’Harimann poi è un altro Montepulciano siderale e sconosciuto, che nasce in una vecchia vigna posta a 550 metri di altitudine a Pescosansonesco. Un rosso “di montagna”, le cui uve si raccolgono nei primi di novembre in una maturazione progressiva e lenta, attivata da continue, forti escursioni termiche, che credo siano alla base dell’unicum di aromi meravigliosamente chiaroscurati di questo vino infinito. Il suo colore è di impenetrabilità assoluta, i profumi di palpitante, succosa suggestione e a larghissimo spettro con note di frutti neri di bosco intarsiati dai goudron. Un rosso monumentale e acuto, assaggiato dalla sua prima vendemmia del 2000, senza mai un cedimento. Ed ora in commercio con una 2009 ancora giovanissima, di splendente fattura e bellezza.
Continuo con l’Escol e l’Oinos (provocatoriamente potrei chiedere in quanti li conoscono), che nascono invece a mezzacosta, intorno ai 250 metri di altitudine, con le rocce del Gran Sasso alle spalle e l’azzurro dell’Adriatico davanti, per segnalare come si sa manifestare e plasmare il Montepulciano in un sito e microclima completamente diverso. Nell’Escol si ha un trionfo di morbidezza e dolcezza di carne, un’avvolgenza di polpa serena, un accordo succoso di creme che sa di godibilità totale e stabile, vera. L’Oinos è la sua versione appena più sottile e nervosa, ma altrettanto longeva, come l’assaggio dalla 2009 alla 2013 ha confermato.
Ma il panorama della regione e le dinamiche del vitigno sono assai articolate e meritano così la stesura di un nuovo approfondimento.
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