In viaggio da Tua Rita a Sette Cieli
di Luciano Di Lello
“Viaggio,/ viaggio per fuggire altro viaggio …”. Mi tornano sempre in mente questi versi di Gozzano, mentre guardo dal finestrino di un auto, un treno e se insomma questo nostro andare non sia altro che una sorta di metafora. Ma il mio ritorno a Tua Rita, a distanza di tre anni, è stato un lento percorso del cuore verso uno dei vini (il Redigaffi) che più mi ha persuaso negli ultimi anni e che ho avuto modo di valutare su tantissime annate, fino ad entrarne un po’ nei gangli, nei meccanismi e tasselli evolutivi (ho ritrovato mesi fa nella mia cantina anche una bottiglia di ’97, che si è rivelata meravigliosamente soave, dolce, cremosa e con un che di atavico e favoloso).
Ho ripercorso così queste vigne, rimanendo colpito dalla loro bellezza, dalla salute delle piante, la precisione scientifica nell’individuazione dei suoli per i diversi vitigni e la diffusione via via delle marze dalle prime particolarissime piante-madri di Merlot. Constatando come l’aver raccolto dati per 25 anni significhi ora conoscenza e ordine.
Poi l’assaggio nelle barrique della 2017, con un’estate torrida che può non essere ideale per il Merlot, è divenuto invece memorabile, con vini freschissimi, serrati, densi, così come è stato anche per i Cabernet Sauvignon e Franc, per il Syrah. Con l’impressione immediata di essere davanti a rossi di maggiore spessore rispetto al passato. La maturazione progressiva delle vigne ha donato vini che possiedono la medesima, inconfondibile grazia, ma hanno ora dilatato il loro peso, la struttura, lo spessore. E questo imporrà tempi di affinamento in bottiglia assai più lunghi. Ricordo assaggi di Redigaffi a solo 2 anni di distanza dalla vendemmia che si concedevano in una felicità giovanile e radiosa incontenibile. Ma oggi siamo su una dimensione superiore, dentro un’altra profondità. Così l’assaggio dei 2015 (miglioratissimo, tra l’altro, il Giusto di Notri) mi ha confermato che il Redigaffi, vissuto nell’ultimo decennio come una deliziosa adolescente, è ora una splendida donna, con tutto un altro passo, pensosità e sostanza. In un paragone più sacrale, quella che prima era una bellissima chiesa si va ora trasformando nell’architettura più complessa di una vasta cattedrale. Questa 2015 fa insomma entrare il Redigaffi dentro parametri tali da superare i precedenti confini e imporre necessariamente più lunghi anni di bottiglia, affinché si riveli il formidabile patrimonio e, direi, il virtuosismo delizioso e le infinitesime sfumature dei suoi particolari estetici.
C’era però anche un altro fine in questo viaggio, nato da un interrogativo che mi sono sempre portato dentro in questi anni, assaggiando i vini di questa ampia area costiera della Toscana. Cosa potrebbero esprimere i medesimi vitigni ad un altitudine assai superiore? Quali valori, novità, quali profumi, spazi? Ed ho trovato la prima risposta salendo da Bolgheri lungo una strada bianca fino ai 400 metri della Tenuta Sette Cieli. Qui 10 ettari di vigne, suddivise in terrazze, dominano in un susseguirsi di luce e crinali i più famosi poderi del bolgherese. Impianti nati a partire dal 2001, che con la 2013 hanno avuto la loro prima folgorante conferma. Se c’è un fuoriclasse su cui già posso puntare è il Cabernet Franc Scipio, appunto ’13. Un rosso imperativo, lunghissimo, assai profondo nel colore e con la nervosità a strati dei vini d’altura, con un pentagramma di balsami su densi frutti di bosco palpitanti di liquirizie, goudron e spezie. Vino aristocratico ed incisivo, serrato e virile. Ma buonissimo poi anche l’Indaco (da Merlot, Malbec e Cabernet Sauvignon), con un 2014 di notevole originalità e fascinosa bellezza, con una sua cantabilità femminea, una grazia elegantissima e rarefatta. Mentre il 2013 appare diverso, sicuramente più chiuso, anche più graffiante e oggi ruvido nell’insieme, ma con ottime possibilità evolutive dopo un maggiore tempo di bottiglia.
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