Lodovico 2011 95 (96)
Biserno 2011 94
Il Pino di Biserno 2011 92
Ci sono serate di pura gioia che si aprono all’improvviso, sensazioni di completa beatitudine, di ammirazione estetica che paiono finalmente scuoterti e portare altrove quei cupi pensieri che i fatti di questi giorni, con i loro lutti, le violenze, le sopraffazioni, sembrano averci confitto nella mente, come un filo spinato.
Devo dire che poche sere fa l’assaggio contemporaneo di tre vini meravigliosi, la loro bellezza incantatoria, la qualità armoniosa e superba che esprimevano, il pensiero accurato, meticoloso che sottintendevano assieme a tutto un intero, lunghissimo percorso di civiltà, mi hanno fatto avvertire non solo un sentimento di felicità, ma anche quello assai più raro di orgoglio per il paese in cui sono nato e per la cultura italiana ed europea, di cui questi rossi sensazionali sono frutto e figli.
Mi sono sentito insomma completamente felice di averli potuti assaggiare, di essere vissuto in questi anni e di appartenere a questa civiltà, che dalla coltivazione di una pianta ha saputo ricavare qualcosa di infinitamente complesso, irripetibile e sfaccettato come la terra in cui nasce, che muta e cresce nel tempo, solletica la mente, ne porta avanti i sentimenti ed i pensieri, apre così portali, idee.
Ci saranno aromi, ci saranno possibili sapori in un’altra vita? Certamente non lo so. Ma l’impressione di questi, quando sono, come nei tre vini assaggiati, al loro più alto livello di bellezza, spero di poterla ritrovare e che tutto questo possa compiersi e durare oltre quello che a noi ora appare solo infinito tempo che scorre.
Queste sono state le impressioni provate, le sollecitazioni, avviluppate come può essere un’emozione forte, che proverò ora a spiegare, scusandomi subito se devo suggerire di cliccare sulla sezione I vini dell’anno 2014 (quando il lettore lo vorrà) ed andare all’articolo Tenuta di Biserno di un anno fa, in cui racconto le mie impressioni di assaggio sulle vendemmie precedenti. Non voglio insomma ripetere, per la salvezza di tutti, quanto già scritto su questa azienda e sulla sua storia. Ma provo ad andare oltre, focalizzandomi su questa meravigliosa vendemmia 2011 attualmente in commercio, in cui tutti i vini della Tenuta compiono un formidabile salto di passo, ad indizio di una prima maturità per le vigne, che sono iniziate a nascere nel 2002, e che da questo punto di vista moltissimo possono ancora di più dare.
Tuttavia questa annata si posiziona già come un punto fermo. L’andamento stagionale praticamente perfetto, anche il caldo dell’estate costantemente mitigato dalle brezze su questo pendio dalla bilanciatissima composizione di terreno alluvionale, ciottoli, calcare attivo, argille, carbonato di calcio, ci offre l’indicazione di quanto la scelta di Lodovico Antinori, a studiare l’area di Biserno già nel 1995, quando ancora guidava l’Ornellaia, fosse stata intuitiva del suo sontuoso potenziale, ma assieme anche quanto sia stata poi lungamente ponderata e meditata in ogni successivo passaggio, a partire dall’individuazione precisa di quei vitigni e cloni che si possono esaltare in questo particolare contesto di terreno, microclima, altitudine.
Le varietà poste qui a dimora sono state appunto di un taglio particolare e diverso. A prevalere nettamente è il Cabernet Franc, poi, nelle sue lenti di argille, il Merlot, infine il Cabernet Sauvignon + una piccola percentuale di Petit Verdot. La fittezza delle piante è di 6.500 ad ettaro a cordone speronato, con una resa delle uve che si può sostanzialmente quantizzare nell’ottenimento di un chilo a pianta.
Allora confesso anche di essere un po’ stanco dei dilettantismi che ci circondano, in tutti i campi. Credo che questo paese si possa salvare con la competenza più seria, più alta e poi con tanta passione, con il lavoro. Sono portato sempre più a credere che il vino ha un bisogno estremo di abilità, discernimento, esperienza, buon senso, arte. E la sorpresa di questi rossi che avevo davanti era nell’avvertire la presenza completa di questo sicuro filo conduttore, che portava a vini tanto belli quanto inaspettati, che andavano per una strada di aromi e di sapori che non avevo mai conosciuto.
Era appunto la sorpresa dell’inedito a colpirmi. Avevo assaggiato tantissimo per decenni, ma questi profumi e sapori non li avevo mai sentiti. Sono andato così a ritroso per capire i motivi di tali risultati. Dal sito in grado di giganteggiare con quei particolari vitigni, poi l’equilibrio in vigna, con basse rese delle piante, ma senza controproducenti esasperazioni (una volta un produttore mi ha raccontato di aver potato le sue piante in modo che dessero solo un grappolo d’uva per quell’anno. Risultato poi molto modesto in vendemmia e piante che hanno avuto successivi problemi, come per aver subito amputazioni).
Credo, negli anni di lavoro che ho trascorso, di aver capito questo, che le piante devono stare bene per dare grandi risultati, in armonia con il suolo e con l’aria che respirano attorno. Le piante devono essere felici, non devono portare troppi grappoli, che le sfiancherebbero e diluirebbero ogni loro linfa. Ma la vigna non può nemmeno trasformarsi in un ospedale da campo, riempiendo la pianta di ferite, proprio nel momento del suo maggiore sforzo e delle sue più complesse elaborazioni.
Mettere dunque le viti in condizione di offrire il loro meglio è la grande prova di sapienza, saper poi scegliere il momento massimo per vendemmiare, giungere a raccogliere il frutto lì dove la vite non può fare di più, né aggiungergli altro. Indovinare insomma l’apice di quella annata. Ed ancora una rigorosa cernita dei grappoli, eliminare quelli non maturi, togliere anche ogni possibile impurità da quelli che sono i migliori frutti, qualche acino vizzo o con una prima prurigine di muffa, niente insomma che possa contaminare e impoverire l’esito del vino futuro. Poi la sapienza delle fermentazioni, dove tutto si trasforma e nascono i nuovi profumi, le bucce cedono quanto hanno aggregato nelle stagioni e il mosto si riempie di colore, dei tannini migliori, compiendo giorno dopo giorno i primi sapori. E’ un momento magico e allo stesso tempo quanto mai delicato. Sbagliare un solo passaggio amputa il vino di non so quante possibilità espressive e le rende per quell’anno irrecuperabili.
Potrei ancora andare avanti così, all’infinito. Ma quello che ritengo insomma fondamentale è la conoscenza appassionata, tenace di ogni passaggio, l’abilità professionale di chi dirige e poi dell’intero staff che lo accompagna. Ripeto, non conosco personalmente Lodovico Antinori, ma dietro i vini che ho appena assaggiato si avvertiva l’idea, l’estro importante di un autore che mira a toccare un’espressività estrema e assieme c’era la messa a fuoco di tutti quelli che sono i suoi valori e le possibilità, senza trascurare alcun dettaglio.
In un certo senso un vino è come un film. Noi vediamo scorrere la pellicola e la storia sullo schermo, possiamo godere di quella trama e di quei dialoghi che si concentrano in un paio d’ore di visione. Ma dietro c’è un regista che ha diretto per mesi un’intera troupe di attori, sceneggiatori, architetti, maestranze. E’ lui, è il suo taglio, il suo stile che permette alla storia di crescere, emozionarci, toccare i nostri pensieri. E’ nella sua abilità. E Lodovico Antinori nella Tenuta di Biserno ha accumulato e raccolto la sua intera esperienza del vino, ha scelto i luoghi, i vitigni e dunque gli attori, ma poi anche i collaboratori e tecnici, al culmine di una vita che è stata anche una lunga avventura attraverso il vino (e mai banale, né commerciale).
A questo aggiungo una nota di numeri, che possono dare un’ulteriore dimensione della selezione che qui c’è stata alle spalle di ogni etichetta. Parliamo di una tenuta con 47 ettari di vigne, immerse nei boschi e piantate tra il 2002 ed il 2003. Da tutto questo la produzione della vendemmia 2011 è stata di 54.000 bottiglie de Il Pino di Biserno, 50.000 di Biserno, 6.000 di Lodovico. L’eliminazione dei grappoli non soddisfacenti, per giungere a rossi di questa portata, offre dunque una media di 2.340 bottiglie ad ettaro.
Dico questo perché la sensazione evidente nell’aprire i tre vini, nell’avvinare i bicchieri, lasciando roteare le prime gocce all’interno del cristallo, osservando quel loro sontuoso andamento scuro e denso, grasso e glicerico. E poi, ultimata questa operazione, facendo scorrere i vini nei calici, che si riempivano di colori impenetrabili e, ancora, quel primo colpo di naso … Insomma suonava tutto come la conferma e la definizione di essere davanti a qualcosa di molto serio, di profondo, meditato e assieme di inedito.
Per me, che ho la fortuna di assaggiare migliaia di vini l’anno, l’impressione complessiva in quei primi minuti è stata di trovarmi davanti al grandissimo esito di un progetto calcolato in modo millimetrico ed al tempo stesso con la smisurata passione di una sfida. Perché questi rossi grandiosi rivelavano una straordinaria misura, un senso del gusto, della perizia, di classicità spaziale verso il concetto dell’uvaggio bordolese, con una precisione altissima. Ma al tempo stesso non c’era alcuna algidità, la bravura tecnica appariva anzi sopraffatta dalla ricchezza superba del frutto ed ai profumi era tutto un traboccare sensuale di aromi, di suggestioni, di echi, incroci, rimandi. Rossi insomma colti, meditati, originalissimi e intimamente passionali. Ma anche con una fortissima impronta territoriale e, direi, di dichiarata toscanità ad avvolgerli.
Per una volta vorrei iniziare dal terzo vino aziendale, appunto Il Pino di Biserno 2011. E dunque taglio di Cabernet Franc al 50%, Merlot 30%, Petit Verdot 12%, Cabernet Sauvignon 8%. Con la premessa che non ho mai dato nella mia vita ad un secondo-terzo rosso aziendale il punteggio di 92/100 (e per la verità poche volte l’anno riesco a dare questa valutazione). Eppure ero lì con questo vino superbo dal colore nerastro, il primo che avevo annusato dei tre che mi erano davanti. E mi domandavo cosa sarebbe stato di questo rosso in una degustazione cieca, a cosa poteva paragonarsi, come si sarebbe comportato al confronto di altri vini più noti e costosi?
Difficile comunque scambiarlo e confonderlo con altre etichette, perché il quadro olfattivo era originalissimo ed al tempo stesso virile, sicuramente attraente, ma anche con un suo notevole aplomb di seria compostezza. Oltre questa impronta, c’era però qualcosa di spettacolare in quel calice. Ed ovviamente Il Pino ’11 è stato il primo ad aprirsi e a definire la sua architettura, dando quella sensazione di offrire qualcosa di molto serio, complesso ed intenso.
Per chi ama il vino si apriva una grande emozione dei sensi, del pensiero, del piacere. Con la presenza del Merlot ad essere la prima a farsi avvertire. La sua immediata carica olfattiva tendeva ad una sensazione di carne appena fumé, ad un ricordo ematico ed anche ad un senso di caldo e di familiare. Man mano poi, così come ruotava il bicchiere e trascorreva il tempo, si sollevava la sensazione di frutti neri in un respiro bellissimo, che mi lasciava sempre più curioso e cresceva assieme la sensazione balsamica, la leggera tostatura del legno, su cui tracimavano i frutti di bosco deliziosamente e potentemente composti su una prima traccia di goudron. Rosso poi straordinariamente appetitoso alla bocca, meravigliosamente equilibrato e dunque di una masticabilità appagante ed assoluta. Vino che si beveva con immenso piacere, che si scandiva man mano nella bocca, con cui si provava la sensazione di compiere dei passi, tale la solenne, profonda fittezza, che, via via che lo assaporavi, ti accompagnava nei pensieri.
Un’esperienza bellissima, ponderata, meditata, che consiglio a tutti caldamente di fare. Rosso che è oggi al suo 70-80% di espressività, che si può tranquillamente conservare positivamente per altri 4-5 anni e (da non trascurare mai) dal magnifico rapporto qualità-prezzo.
Arrivo così al Biserno, in cui il mix di uve ricalca in sostanza quello de Il Pino con Cabernet Franc e Merlot a prevalere nettamente. Vi ho già detto dei miei assaggi sulle vendemmie 2009 e 2010. Ma le piante qui sono cresciute di un altro anno e l’andamento stagionale 2011 è stato poi praticamente perfetto. L’inevitabile risultanza è che questo Biserno ha una ricchezza, qualità, concentrazione di elementi, di linfe, vorrei dire di segreti, assolutamente superiore (tutti noi sulla esatta composizione dei vini, nelle sue infinite particelle elementari, abbiamo praterie scientifiche ancora tutte da indagare e percorrere). Così i tempi di espressione per un rosso di tale calibro inevitabilmente si dilatano e di molto.
Ora è un bel problema annoso quello dell’affinamento di un vino in bottiglia e quanto un produttore debba aspettare, prima di metterlo in commercio. Tema poi di conduzione economica, nella quale mi muovo anche con molto impaccio, perché ovviamente il vino va venduto ed è l’unico sostentamento per un’azienda che ha le sue quotidiane spese vive, i suoi stipendi da pagare e così via. Però di fatto questo Biserno 2011, grandissimo, emozionante, inizia oggi appena a definire il proprio spazio e la propria dimensione, direi quella che è la sua identità e tratto di profumi e sapori, che appaiono ora solo al loro primo accenno.
Così ho assaggiato questo vino, ne sono rimasto molto colpito, sono convinto che attraversi ed indichi territori gusto-olfattivi intentati, che mi intrigano enormemente. E mi resta come un malessere, un rimpianto per averlo già bevuto, consumato, perché tra 3-4 anni sarà sicuramente assai più espresso, più maturo, più poderosamente originale e delineato nelle traiettorie che già accenna.
Il suo colore è totalmente impenetrabile. L’impressione immediata al naso è stata quella di maestosa profondità, un monumentale totem del nuovo vino italiano, profondamente confitto nel terreno, carico di echi e di toscanità. Era davvero tutto molto vasto, serrato ed al tempo stesso, nonostante questa concentrazione, il Biserno emanava un’idea di eleganza, di accuratezza raffinata, di purezza soffusa, cremosa. Dopo più di un’ora nel calice ha iniziato ad esprimere la sua sarabanda cromatica di aromi, petali di fiori dolci essiccati che se n’andavano finissimi nell’aria, poi il corpo dei mirtilli, la cioccolata, le spezie, i balsami in una loro assoluta freschezza. E alla bocca colpiva il suo corpo sereno e imponente, con meravigliosi tannini perfettamente bilanciati al frutto traboccante. E tutto attraversato da una lunga vena fumé e inchiostrata. Un rosso strepitoso, che non finivo mai di annusare, assaggiare, come di impadronirmene, in cui convivono la razionalità e l’anima, la dolcezza e la rigorosità.
Per il Lodovico 2011 infine vale con ancora più forza il discorso fatto sul Biserno 2011. Credo che oggi questo meraviglioso vino (cui assegno il punteggio più alto che ho mai dato finora, anche se obbligatoriamente in divenire) esprima oggi a malapena un 20% del potenziale e direi che, per chi ha la fortuna di possedere una simile bottiglia, sarebbe bene non aprirla prima di 5 anni.
Inutile poi dire che ho rapportato a questo assaggio il ricordo fortissimo che avevo del Lodovico 2008, sentito un anno fa. Diciamo dunque che c’è una differenza di 2 anni, di gioventù e tempo di vetro, nel mio assaggio, su vendemmie poi diverse, con piante in questo caso che sono più mature di 3 anni. E insomma il 2008 era molto più delineato (ho avuto anche l’impressione che dovesse aver avuto più tempo di legno), più conciato, già più inciso nei suoi tratti e così osservabile, gustabile.
Questa vendemmia 2011 è però sicuramente superiore nel passo, nella ricchezza, nella solennità, nella maestosità dell’andatura, con l’impressione di un vino gigantesco, crudo e giovanissimo, che è la selezione esasperata dei migliori grappoli della Tenuta, qui a larghissima prevalenza di Cabernet Franc, poi Merlot e piccola percentuale di Petit Verdot. E la cosa bellissima inoltre era anche nella profonda diversità tra il Lodovico ed il Biserno, che rimiravo nei due calici davanti a me, con i loro impressionanti colori nerastri. Aggiungiamo infine che il Lodovico ha avuto bisogno di un’ora in più per uscire fuori, respirare, emergere, dilatarsi ed andare poi in crescendo, staccando l’altro.
Si tratta comunque di due opere nel complesso assai diverse tra loro, molto forti nel carattere, ma con traiettorie gusto-olfattive del tutto separate. Il Biserno, come detto, era pervaso da una leggiadria ed eleganza suffusa, baluginava in sfumature, in tocchi, in fascinazioni. Pure nella sua concentrazione echeggiava un’anima dolce, alta e femminile.
Il Lodovico era più profondo, virile e carnale. C’era in lui più furore ed al tempo stesso (ed è anche il questo la sua grandezza assoluta) appariva pieno di preziosità. In qualche modo il suo quadro e ventaglio olfattivo poteva ricordare quello de Il Pino, ma su un’altra dimensione, infinitamente più concentrata, più profonda, più tenace e rabbiosa, vorrei quasi dire più drammatica. Anche qui i toni del Merlot erano i primi ad avvertirsi. Poi man mano si dipanavano ricordi deliziosi di pasticceria, vaniglie e ancora via via frutti neri di bosco su toni fumé e così si aprivano in successione strati di inchiostro e liquirizie, che scavavano e affondavano le loro sequenze infinite, aprivano nuovi aromi e suggestioni, delineavano tratti di un paesaggio e di una prospettiva che nessun altro vino italiano, a mio avviso, ha mai attraversato.
Anche qui, devo ripetere, avrei voluto assaggiarlo con cinque anni di bottiglia in più, in un gioco spazio-temporale davvero impossibile all’uomo. Ma è quello che ho pensato per tutta la sera, seduto a quel tavolo. E’ stato l’unico sottile e profondo filo di malinconia che ho avvertito in ore davvero indimenticabili. Il Lodovico ormai non c’era più. Ne rimaneva solo una traccia nel calice che provavo ancora a sentire, a scoprire.
Occorre anche dire però, che se il naso, nella sua meravigliosa, ma terribile gioventù, era ancora non compiuto, la bocca invece, nella sua consistenza imponente, nella qualità serica e morbidissima dei tannini, in quel senso di velluto che non ho mai sentito con quella qualità, erano di una generosità travolgente, a esemplare dimostrazione di bellezza, talento e maestria straordinari. Gli strepitosi accenni chiaroscurati dei profumi direi che si scioglievano in deliziose e al tempo stesso imponenti cremosità alla bocca, che traboccava di frutti dalla persistenza infinita.
Se il Biserno rivelava un corpo sereno, il Lodovico era più profondo e catramato, più complesso e pensoso, giovanissimo, d’accordo, e ancora inquieto, attraversato così da lampi, pensieri, da viaggi e territori tutti da vedere e conoscere negli anni a venire.
Mi piace allora concludere questo articolo (che possa essere benaugurante per un vino ed un’azienda in fondo alle sue prime apparizioni) con l’immagine di Lodovico Antinori assieme alla sua giovane figlia a Biserno, accanto ad una vigna d’inverno, che sta riposando prima di riprendere la nuova stagione.
Vedo sempre il vino come l’emblema di una cultura e della sua possibile continuità. Abbiamo un assoluto bisogno dei nostri figli, affinché questa rimanga viva e si rinnovi, magari si ampli, cresca. E’ tutto quello che possiamo lasciare e l’affidiamo al loro futuro, alle loro mani.
Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.