Fiorano Bianco 2012 91-92
Fiorano 2008 88-89
Alessandro Boncompagni Ludovisi ha raccolto l’eredità del prozio Alberico che, in questo che è uno degli ultimi lembi intatti della campagna romana più bella e carica di reperti, aveva inaugurato un rosso a base di Cabernet Sauvignon e Merlot, che negli anni ’30 aveva impiantato per lui nientepopodimenoche Tancredi Biondi-Santi. Parliamo dunque di un bel pezzo di storia del vino italiano, a testimonianza di quali e quanti incroci si vadano a sommare nelle vicende del vino, quante intuizioni partano e vengano poi via via raccolte da altri testimoni.
Per quello che mi riguarda ho il ricordo del Fiorano Rosso e del Bianco da Semillon, quando negli anni ’70 cominciavo ad appassionarmi di vino. Trasvolando da un corteo di protesta che ormai scivolava verso una china un po’ troppo pericolosa, mi rifugiavo in una di queste enoteche storiche della capitale a fissare le centinaia di etichette che mi osservavano sicure, serene e rappacificatrici da tutte le urla e le tensioni esterne.
Il Fiorano era un vino raro da trovare, appariva a folate, poi scompariva per 2-3 anni. E comunque tra i due preferivo il Rosso. Non sempre un risultato perfetto. Alle volte, appena aperto, aveva un curioso odore morbido e lattico. Ma io ero poco più di un ragazzo allora e tutto il vino italiano solo ai suoi primi passi.
Comunque provavo curiosità per il carattere di questo rosso, come riuscisse a crescere nel bicchiere, come restasse in una forma e in un suo spazio integro, forte, come a volte se ne andasse verso sensazioni balsamiche che avevo raramente sentito. Poi quel vino l’ho perso, in mezzo a questa rivoluzione enologica che andava trasformando il Belpaese (forse il settore in cui più si può dire sinceramente e sicuramente in meglio), tra le migliaia di nuove etichette che apparivano, incuriosivano, in taluni casi stupivano.
Ed ecco che, un paio di anni or sono, ritrovo i due Fiorano. Identiche le etichette. Immutato il Rosso nel suo uvaggio, mentre è in pieno rinnovamento l’antico parco botti. Per cui, nel suo stato di passaggio, questo 2008 assaggiato lo trovo di ottima levatura. C’è dentro il ricordo di quello che era il vino, ma con una qualità, un respiro, una fascinosità, una purezza di frutti di bosco che si innalzano nella menta da vero fuoriclasse. Qualche legno vecchio tuttavia appena lo vela e non me lo lascia svettare ulteriormente, ma è un rosso di ottima materia prima, che nelle annate successive, quelle con botti totalmente rinnovate, compirà quel balzo imperioso (ne sono certo), che lo farà salire ai vertici assoluti del nostro rosso.
La sorpresa grande per ora è data dal Fiorano Bianco ’12, che ha cambiato uvaggio, proprio su suggerimento del Principe Alberico. Parliamo così di un taglio tra Viognier e Grechetto, che matura sui propri lieviti in botti da 10 ettolitri. E ci troviamo qui davanti ad un bianco-capolavoro con incantevoli sensazione di polpa di frutti estivi. Quello che colpisce è la preziosità dell’insieme, il nitore incantatorio, l’equilibrio magnifico delle sue linee che sfumano nella cera d’api e nel miele in un’impressione complessiva di totale soavità e bellezza.
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