Redigaffi 1999 92
Redigaffi 2003 94
Redigaffi 2004 91-92
Redigaffi 2005 92-93
Redigaffi 2006 95
Redigaffi 2010 92-93
Redigaffi 2011 95
Redigaffi 2012 92-93
Redigaffi 2013 94-95
Redigaffi 2014 94 ?
Il mondo in una stanza o per essere precisi in uno studiolo 2 metri per 2. E’ lo spazio in cui prende vita il fantomatico romanzo (prima o poi sarà pronto. Non c’è fretta, … purché sia bello) e tutti gli scritti sui migliori vini della mia vita.
Ma è comunque una bellissima avventura scrivere, di totale libertà, di incoscienza e onnipotenza, in cui qualche rara volta si ha anche la percezione di aver toccato un segno, di averlo colto e sollevato da un precedente intrico di idee e pulsioni, come per qualcosa che resta ed era nel destino.
Una volta un amico, dopo aver casualmente letto uno di questi articoli, forse anche pensando di fare un complimento, mi ha detto “Bello, peccato però che sia sul vino”.
Ma io devo molto al vino importante e non rinnego niente. Seguirlo nella sua crescita, nei suoi sviluppi mi ha dato almeno due lezioni. Una è etica, perché ho avuto sempre più la riprova, in ormai decine di migliaia di assaggi, che un grande vino è anche il frutto di una onestà fortissima. Per arrivare a quei livelli bisogna fare sacrifici, studiare, mettersi in gioco continuamente, rischiare, dare il proprio meglio. Si è su un crinale dove si può essere soltanto se stessi, non si bara e non esistono maschere, né finzioni o scorciatoie.
La seconda è estetica, perché ho imparato molto da come un grande vino si propone, si lascia intravedere e leggere oppure nasconde intimità e segreti. E’ il dipanarsi di una trama, i profumi scoccano ed iniziano ad aprirsi nelle loro particolarità. Possono emanare gradevolezza oppure importanza, i primi lampi di complessità o stanno invece sulle loro, accennano, lasciano soltanto immaginare.
Percepire un grande vino, vederlo crescere nel calice ha molto della lettura di una storia o della visione di un film. Poi, quando si ha la fortuna di assaggiare la sequenza verticale di diverse annate di un vino da sogno, è come osservare i sentieri, le trame, le biforcazioni e gli strati di una di quelle serie tv in cui il cinema americano, per qualità delle storie, cura di regia ed attori, sembra stia oggi dando il meglio di sé.
Appunto il modo di esprimersi e disporsi di un vino è diventato per me una lezione ed un modello di scrittura, su come si possa incuriosire ed appassionare, ma anche tenere avvinto e sospeso un lettore.
Così è assolutamente certo che ai grandi vini consegno una buona parte del mio tempo attuale, ma ne vale la pena.
C’è stato poi un altro elemento ad entrare in gioco e a colpirmi. Ne ho avuto la prima coscienza con il Redigaffi, in modo quasi oscuro inizialmente. Ma la fortuna è stata di poter sentire questo vino più volte e su diverse annate negli ultimi mesi. Si è sempre ripetuta così questa impressione di appartenenza in un senso davvero forte, come se nella autenticità di un vino che ti emoziona si possa riconoscere una parte di noi stessi, di memoria, di gusto, anche di esistenza vissuta. Ogni volta, nell’assaporare il Redigaffi, mi sono rivisto giovanissimo, ho riprovato dentro di me questa impressione, come se mi tornasse addosso un sentimento che avvertivo una volta e che forse è stato anche generazionale.
Credo che assaggiare grandi vini provochi sicuramente un senso di evocazione, di memoria, di dilatazione del pensiero. Ma accostarmi ad un Brunello, un Barolo, un Barbaresco, una tipologia cioè di vini dagli aromi più avanzati e maturi, buonissimi in taluni casi, ma di una categoria e genere completamente diverso, più di complessità, di cerebralità, mi riporta ad altri pensieri, altre epoche della vita mia, personale e di quella collettiva che abbiamo vissuto, con i suoi avvenimenti, le sue illusioni.
Il Redigaffi invece esprime un carattere di giovinezza in una tipologia del tutto speciale. E proverò a spiegarmi, premettendo che da anni questo rosso è uno dei miei pochi e profondi vini del cuore. L’avevo già raccontato ne I Migliori Vini della Nostra Vita, accompagnandolo ai suoi fratelli di vigna, nell’articolo Tua Rita. Lo concludevo con l’auspicio, pur nella mia canuta pigrizia, di visitare un giorno l’azienda, camminare magari tra quei filari, assaggiare i vini dalle barrique, provare a capirne un po’ di più.
E poi questo viaggio c’è stato, l’ho fatto. Ne scrivo ora, a distanza di diversi mesi. Ma le cose le devo macerare dentro per averle più chiare. E sono pronto solo adesso.
Cantina di Tua Rita dunque. Mattina sul presto. Con me il cantiniere e Luca D’Attoma. Spaziando liberamente su tutto quello che c’era in quel momento dentro le barrique. Vendemmie 2013 e 2014.
Esperienza attesa, molto desiderata. Ed assaggiare coscienziosamente i vini dai legni, separati per vitigno, parcella di vigna o diverso tempo di raccolta delle uve, è qualcosa di totalmente coinvolgente ed intenso. Come partecipare ad una prova d’orchestra su una partitura inedita dal grande futuro. Sentire separatamente i violini e gli archi, poi gli strumenti a fiato, il pianoforte, il coro, gli assolo. Occorre un’estrema lucidità e fantasia per riuscire ad immaginare la miglior fusione possibile. Ed è una delle cose bellissime cui ho assistito nella mia vita, quando si ha a che fare con vini importanti. Vedere tutto ancora in movimento ed in fieri, tutto possibile e migliorabile, mentre i nostri sensi avvertono come e cosa stia prendendo forma, quale sia la sintonia dei profumi, come progressivamente si vadano ad occupare gli spazi che a quella barrique e a quella base mancano, ma che sono contenuti in altre e come così, man mano, il grande puzzle dell’annata arrivi a compiersi, salgano gli aromi, i sapori si completino in un’armonia sempre più vicina. Il vino nasce. E dentro di noi resta allora l’impressione come di un suono che ha trovato il suo percorso, una voce che si è finalmente sollevata e composta.
Allora tutto il 2013 e parte del 2014 assaggiato nel legno erano in sostanza le componenti del futuro Giusto di Notri (da Cabernet Sauvignon, Merlot e Cabernet Franc), gran rosso certamente, ma, come scrivevo nel finale del precedente articolo, che pagava il confronto con la perentorietà del Redigaffi e del Syrah Per Sempre.
Ebbene l’impressione che ho avuto è che il tema di un uvaggio bordolese ancora più perentorio sia stato via via messo a fuoco. Diverse cose sono ormai in movimento, con attenzioni e selezioni in vigna che sono state ancora più serrate, in un tempo di legno poi che viene anche prolungato. Ed il Giusto di Notri delle vendemmie a venire (che siano propizie anche le divinità delle stagioni e della natura) avrà dunque un’ulteriore, più sicura marcia in più. Che proverò a raccontare, quando questi Giusto saranno in commercio.
Torno così a quella mattina e all’assaggio del Redigaffi 2014, allora in pieno elevamento in barrique (mentre il 2013 era invece già stato posto in bottiglia).
Osservavo in silenzio il vino che veniva prelevato dalla botticella. Il “ladro” in vetro penetrava nel suo profondo, in quella capacità invisibile e ne risaliva carico di un colore profondissimo, che guardavo poi scivolare nel calice che avevo in mano.
A portarlo al naso, quel Merlot, che doveva ancora trascorrere diverse stagioni nel legno, arrivava già con una sua riconoscibilità fortissima. E’ come se il vino estremo abbia in sé delle stimmate, contenga un segno particolarissimo fatto di microscopiche spore e infinite componenti che legano e sigillano il terreno con il vitigno, quasi indipendentemente dal fattore umano.
Certamente l’uomo è fondamentale nella grandezza di un vino, a partire dalla progettazione, dalla sua idea. Ed in questo senso mi sembra doveroso il ricordo di Virgilio Bisti che nel 1988 (che appare oggi come una sorta di data preistorica nella vicenda del nuovo vino italiano) ebbe l’intuizione di impiantare nell’area più argillosa del suo podere i primi filari di Merlot, coltivandoli poi a basse rese.
Ma si possono seguire tutte le regole più severe, gli intendimenti più rigorosi. Se però non esiste la scintilla tra vitigno-terreno-microclima, il risultato non andrà mai oltre quello che può essere un vino solo buono e onesto. Perché nasca invece il fuoriclasse occorre qualcosa che appunto prescinda anche dalle migliori intenzioni dell’uomo e da tutto quello che è il nostro attuale bagaglio di scienza. E che insomma in quella particolare parcella di vigna scatti una simbiosi totale tra i biotipi di vitigno impiantati e le componenti del terreno, che tutto vada così ad incastrarsi magicamente. E dunque la Fortuna per una volta non sia solo folle e cieca, ma faccia scoccare in quel particolare punto di terra una scintilla generosa e propizia, dalle alchimie nemmeno immaginabili, né pienamente spiegabili.
Dalle barrique del Redigaffi ’14, che continuavo ad assaggiare, emergeva così la sua massa di frutto incantevole e compatto, il carico di aromi soavi e rari, la loro simmetria di linee e di forme, come nello schema di una classicità suprema.
Avvertivo il grande controllo, la misura, il senso perfetto di eleganza. Perché il Redigaffi non è un vino ostentato, i suoi profumi non hanno niente di gridato, di rabbioso o di clamoroso, di aggressivo, come, per fare l’esempio di un altro Merlot nobile, nel Masseto. Il frutto del Redigaffi è di una grazia celeste, soffuso, purissimo, senza orpelli o chiassose ridondanze, senza alcuna enfasi. E di un timbro inoltre con una sua riconoscibilità netta, che supera la diversità di ogni vendemmia.
Come nei vini assoluti, pur nel differente e variegato percorso di ogni stagione e annata, il Redigaffi possiede una sua voce inconfondibile, il suo segno, un tocco di leggerezza chopiniana, che è però nello stesso tempo quanto mai fermo e stabile. Vino insomma molto più complesso, articolato e profondo di quanto non voglia apparire. E di una bellezza tale da non aver bisogno di abiti migliorativi, né di sedute estetiche di trucco o parrucche. Gli stessi 20 mesi di barrique (tra poco vi darò tutte le sue informazioni tecniche) non lo modificano nella sostanza, ma gli conferiscono solo, a mio avviso, una necessaria, levigata stabilità.
Mentre continuavo gli assaggi delle diverse barrique, sentivo la sua massa scivolare tra le labbra, rasata e dolce. Era una crema che si adagiava deliziosa, saporita e soffice, preziosa e densa. Si assaporava e non si poteva resistere che pochi secondi. Perché poi l’ordine inconscio della mente ti portava ad inghiottire, ad appropriarsene, a farne omaggio al proprio corpo. E l’altro elemento che emergeva e restava nell’animo, era il senso fortissimo di giovinezza che il vino emanava, con quella leggerezza d’animo e di prospettive che si prova solo in gioventù, di serenità senza mai ombre, di sorriso, di sguardo pieno, sicuro.
Certamente sto scrivendo di un rosso 2014 e potrebbe ora apparire ovvio parlare di gioventù. Ma credo che il Redigaffi viva ed esprima nel suo carattere e modo di essere un forte, sereno senso di giovinezza, di quella più grande, ferma, radiosa e che questo sia nella sua natura, nella sua forma e colore. Ma ci ritornerò sopra nel racconto delle annate più mature, affinché tutto risulti più chiaro.
Ora è tempo di entrare nella storia e nella vicenda di questo vino, con il suo primo nucleo di vigna a nascere appunto nel 1988, quando vengono impiantati a cordone speronato 4.000 ceppi di Merlot su 8.000 metri quadrati di terreno, costituito da scisti, argille rosse e galestro. Siamo leggermente all’interno della costiera bolgherese, ad un passo dal borgo medievale di Suvereto.
Tra il 1996 ed il ’97 poi, visto la straordinaria grandezza dei primi risultati (la vendemmia 1994 segna il suo esordio su un numero limitatissimo di bottiglie), vengono impiantati altri 6 ettari di Merlot, su confinanti lenti di terreno, similari per composizione, con una fittezza di 9.000 ceppi ad ettaro, allevati a cordone speronato doppio.
Le vendemmie avvengono nei primi di settembre e le uve selezionate, dopo la pigiadiraspatura, sono poste a fermentare in tini di legno tronco-conici da 45 ettolitri, con tempi di macerazione sulle bucce tra i 30 e i 35 giorni. Dopo la svinatura il Redigaffi viene elevato poi per 18-22 mesi in barrique nuove. E la sua produzione si manterrà comunque sempre bassissima, oscillando nelle ultime vendemmie tra le 8.000 e le 12.000 bottiglie.
L’assaggio così delle tante annate di Redigaffi parte oggi (siamo a fine aprile 2016) da un campione 2014 preso dalla vasca, con il vino che ha ormai completato il tempo di legno, le barrique sono state assiemate e tra poche settimane avverrà l’imbottigliamento.
Per una regola ovvia a questa annata assegno un punteggio assai cauto e con un punto interrogativo, visto che non è ancora in bottiglia. Ma l’impressione è stata fortissima e sono convinto che con 1-2 anni di vetro questo Redigaffi scalerà ulteriori vette, quando i suoi profumi, già raggianti e radiosi, si ammanteranno di quelle preziosità balsamiche e inchiostrate, goudroneggianti, che appaiono ora nel movimento del suo fondale, che sta appena iniziando a sollevarsi.
Ma qui una considerazione, sul grande cammino che ha compiuto l’uomo e la migliore enologia italiana, va fatta. E segno ne è appunto l’assaggio del Redigaffi che va dal 2014 al 2011. Quattro vendemmie diversissime, che hanno comunque dato qui risultati sempre molto grandi.
La 2014 è stata dunque, un po’ in tutta la penisola, un’annata decisamente brutta e molto a rischio per i grandi vini rossi, con piogge continue ad ostacolare una perfetta maturazione dei grappoli (mi fa tornare in mente la 1972, non so, la 1992, la 2002). Però la gestione della vigna è oggi infinitamente più sapiente ed oculata. Su questo vigneto poi c’è stata un po’ di fortuna nelle settimane di vendemmia, oltre che una forte selezione nella scelta dei grappoli. Ed abbiamo così potuto avere anche nella ’14 un’altra espressione memorabile del Redigaffi. Certo le bottiglie prodotte sono solo 8.000. L’epoca di raccolta delle uve è stata inoltre posticipata, compiendosi tra il 10 ed il 18 di settembre. Ma il Merlot è appunto una varietà precoce e questo aiuta, perché il ritardo nella vendemmia non comporta alcun problema (sono le varietà tardive, quelle che maturano nella terza decade di ottobre, a correre rischi enormi in stagioni simili).
Ho ritrovato dunque in questi giorni quel Redigaffi ’14, assaggiato mesi fa in barrique, quando ha ormai completato il suo percorso nel legno. Mi ha colpito subito la bellezza fascinosa dei profumi, la loro eleganza, la delicata, innocente gentilezza del tocco, eppure nello stesso momento quell’intimità succulenta, morbida e dolcissima che il vino contiene, piena di fragoline di bosco, ribes, vaniglie. Mi sono domandato cosa potranno essere e diventare questi profumi, quando si compatteranno e si concentreranno dopo un ragionevole tempo di bottiglia.
Insomma in un’annata così difficile il vino esprime una bellezza ed una integrità folgorante, pur in un’anima morbida e deliziosamente carezzevole. E’ un Redigaffi certificato con il timbro, riconoscibilissimo nella sua femminilità, con tutte le movenze di deliziosità setosa, che, come più il vino respira nel calice, si apre a dolcezze di creme mentolate e balsamiche, a leggeri lampi inchiostrati (solo però in un accenno delle loro vibrazioni, perché nel suo complesso mi è difficile trovare un vino più sereno, di bellezza tanto giovanile, pura, confortevole).
Si può poi anche aggiungere che non ne ho sprecato nulla. Non era proprio possibile. E comunque non sono stato capace (perdonatemi) di far cadere dalla mia bocca nemmeno una goccia nel recipiente che mi tengo accanto in queste occasioni e che per decenza, anche se impropriamente, chiamo qui seau à glace. Con il Redigaffi ’14 ho sentito di stare nutrendo il mio corpo, che ora sta davvero benissimo.
La vendemmia 2013 è poi un’altra vendemmia difficile (ma meno della ’14), estate fresca, con diverse piogge. Tua Rita però è vicino al mare, con tutti i suoi effetti benefici di ventilazione e soleggiamento, ad un’altitudine sui 100 metri. La raccolta delle uve è avvenuta tra il 5 ed il 15 di settembre. E l’assaggio di questo rosso mirabile mi dà la conferma che, su varietà precoci come il Merlot, l’estate fresca possa dare poi dei vini anche migliori, più lunghi, complessi ed importanti. Le piante di fatto non sono mai entrate in uno stress da siccità, da eccesso di calura, non si sono mai fermate ed hanno continuato ad elaborare e a dare ai loro grappoli un patrimonio straordinario di sostanza, di linfe segrete, intense e preziose.
Il Redigaffi 2013 è così in una versione bellissima, ma anche particolare. Va inoltre premesso che il vino è stato imbottigliato solo 10 mesi fa. E’ dunque oggi molto crudo. Sarà certamente uno dei Redigaffi più longevi e sono convinto che tra 1-2 anni sfiorerà i 96 punti. Ma quello che mi preme sottolineare è come questo 2013 disegni uno spazio nuovo del Redigaffi, come un indizio di quello che potrà essere forse un tratto inedito del suo futuro profilo, con piante che iniziano già ad avere una buona maturità.
La particolarità insomma dell’andamento stagionale gli ha conferito dei lineamenti sicuramente più virili e pensosi. In nessuna delle sue precedenti versioni avevo sentito tanto chiaroscuro, tanto goudron, tanti profumi catramati e inchiostrati. E la bottiglia vuota che conservo da giorni (anche qui nessuna goccia è andata perduta, ma è ognuna impressa e sigillata nel mio corpo, cosa lo dico a fare?) continua ad emanare meravigliosi profumi di grafite, essenze di frutti di bosco, goudron, spezie balsamiche.
Un risultato dunque estremamente fascinoso, di grande ampiezza e profondità. E vino che suggeriamo di aprire con un certo anticipo, lasciando che cresca sempre più nel calice ed esprima questo suo primo incedere nella giovinezza con lo sguardo di un adolescente tenebroso.
Abbiamo dunque uno splendido rosso (tra i più buoni mai sentiti in questi mesi), che nasconde i suoi 15 gradi di alcol per quanto è pieno di nervosità, energia, dinamicità. I suoi aromi si aprono con iniziali note appena compresse, vanigliate e lignee, che man mano svelano fragoline e frutti di bosco, liquirizie, note speziate e catramate su un elegantissimo fondo fumé.
La bocca è poi saporitissima, setosa e piena di luce, con echi di balsami, polpa di ribes, legni preziosi. Attacco assai sontuoso, ma non invasivo, in cui si conferma il sonoro segno di eleganza del Redigaffi ed assieme un viluppo segreto e bellissimo carico di splendida gioventù. Sono convinto insomma che si aprano nuove intelaiature su questo vino, che lo renderanno ancora più complesso e profondo. Ed il consiglio che posso dare su questo 2013 è di saperlo collezionare, farne saggia scorta, come grandissimo rosso che progredirà prepotentemente con gli anni di bottiglia.
Con la 2012 abbiamo invece una vendemmia totalmente opposta, dentro un’estate caldissima, torrida, siccitosa. La raccolta del Merlot è stata questa volta necessariamente anticipata, vendemmiando di corsa i grappoli tra il 25 agosto al 3 settembre, con taluni acini che già accennavano un rischio di appassimento. Vendemmia appunto sicuramente più difficile per le varietà precoci, con le piante che hanno sofferto nel mese di agosto, hanno dovuto fermare la loro ultima elaborazione per la siccità, il caldo. Frutti dunque non perfettamente omogenei, non completamente maturi.
Eppure ci troviamo davanti ad un Redigaffi delizioso e soave (e credo che sia occorsa molta maestria nel seguire prima le vicende e le esigenze della vigna, poi nella selezione e nella vinificazione delle uve), che farebbe un figurone assaggiato isolatamente. Nel mio caso però aveva accanto, ad esempio, la vendemmia 2011.
Intendiamoci, in assoluto è un vino splendido, luminoso, di una grande levità e dolcezza. C’è però qualche squilibrio tra l’alcolicità e gli spigoli acidi della sua massa, come una punta di verde e acerbo nell’anima, che non ne aiuta e non ne espande l’armonia.
E’ un Redigaffi che manifesta tutta la sua aria di leggiadria squisita, ma che appare anche più leggero rispetto alle migliori versioni e che ritengo dia il suo meglio in questa vasta freschezza giovanile dagli accenni inchiostrati, in questo tessuto serico di creme fini. Lo trovo dunque di notevole bellezza, più delicato e fragile però, in un suo equilibrio di cristallo, rispetto ad altre annate. E, al contrario che nella 2013, non credo che il suo punteggio (comunque ragguardevole) potrà crescere negli anni futuri.
Con la 2011 ci troviamo invece davanti ad una delle migliori versioni in assoluto del Redigaffi e, a mio avviso, la più compiuta e completa tra le ultime vendemmie proposte. Il suo andamento stagionale può ricordare climaticamente la 2012, ma è stato meno esasperato, con qualche pioggia che ha rinfrescato l’estate. E le piante (è in fondo lì che si gioca molto o tutto) non hanno sofferto come nel ’12, potendo così nutrire e proteggere meglio i frutti. In questo caso la vendemmia è stata anche leggermente anticipata, realizzandosi tra il 20 ed il 25 di agosto, con uve comunque perfette.
Il vino è insomma stentoreo, impressionante già nell’osservare il suo colore profondissimo, impenetrabile, nerastro. Ed in questi 3 anni ho potuto assaggiarlo in diverse occasioni. La prima volta in una cena (una sorta di anteprima) di fine autunno 2013, avendo accanto e di fronte molte delle migliori etichette italiane. Ma nella mia personale classifica questo Redigaffi risultava di gran lunga il più bello, fascinoso, sensuale della serata. I suoi profumi erano una vera delizia e mi sembravano la prova manifesta di quale grande cammino avesse percorso la nostra viticoltura. Un rosso del genere, di quella classe, di una bellezza che conteneva in sé una sorta di impalpabilità suprema, non era nemmeno immaginabile 10 o 15 anni fa. I suoi sapori e aromi allora non me li sarei nemmeno potuti sognare, perché non li avevo mai sentiti, non esistevano.
Seduto a quel tavolo lo richiesi più volte ad una paziente sommelier. Lo assaggiai e lo bevvi ripetutamente, rischiando l’incidente diplomatico con i diversi produttori vicini, che magari volevano un minimo d’attenzione per i loro vini. Ma io ero in uno stato di beatitudine suprema che non ammetteva deroghe, esitazioni e, meno che mai, cambiamenti peggiorativi. Avevo trovato il Santo Graal della serata, con quella sfericità che possiedono i grandissimi vini, quando nascono in completo equilibrio. Era certamente un Redigaffi assai giovane, ma di una tale armonia da potersi già godere. Era tutto molto alto, tutto estremo. C’erano certamente superbi parametri di ricchezza, di concentrazione. Eppure nello stesso tempo tutto appariva soave, delicatissimo, delizioso e immacolato, all’interno di una trama olfattiva completamente sorridente e serena. Mi sentivo come quando, da giovane, scoprivo quelle meravigliose commedie di Lubitsch. E mi sorprendevo a godermele con il sorriso stampato sulle labbra, dall’inizio alla fine.
Poi, più di un anno dopo, un secondo assaggio fu molto buono, ma meno entusiasmante. Poteva apparentemente dipendere dalla mitizzazione di una serata magica, dalla memoria che porta sempre ad ingigantire quello che ci è parso molto bello. Nella realtà credo che il Redigaffi 2011 fosse allora in una prima fase di passaggio, da quella che era una sua espressione adolescenziale, quasi primigenia, a quella di una giovinezza più complessa e decisa. Di fatto però era a metà strada. Non era più una cosa, ma non era ancora l’altra.
Quando l’ho riassaggiato poi a fine 2015 ho ritrovato un vino strepitoso. Non era la quindicenne purissima e fatata della prima volta, ma una splendida ventenne che si sta inoltrando nella giovinezza, che frequenta l’università ed è bellissima e piena di sogni.
Con le stesse fattezze e sensazioni ho infine ritrovato il Redigaffi ’11 nell’assaggio di questi giorni (sono un uomo fortunato e benvoluto dagli dei, sì, lo so), un vino immenso, dal potenziale ancora inespresso, che esprime una gioventù compatta, felice, tanto assoluta da non ammettere la minima intrusione di altre età e lascia intravedere balsami deliziosi, leggeri graffi di goudron, intuizioni e profondità inaudite, vino che lascia poi pensare, porta avanti idee, impressioni. E qui entra in gioco l’appartenenza, quell’affinità che troviamo in un vino, lo spazio personale che c’è sempre in un assaggio e come quei profumi e sapori si incastrino nella nostra vita, ne sommuovano i ricordi.
E’ strano e misterioso il loro perché e come ogni volta, nell’assaggiare questo vino, mi ritorni dentro e riprovi lo stato d’animo del mio corpo diciottenne. Estate del 1966, a camminare nel cuore di una Londra che ricordo stranamente assolata. Mi sembrava fatta solo di colori e suoni, forse per la folla coloratissima che brulicava attorno. Visi di ragazze dai trucchi immaginifici che ti fissavano, ti guardavano. Le luci. Piccadilly. Le vie a riquadro di Soho …
Tutto quello che è accaduto dopo è partito da lì. Era il primo viaggio all’estero e sarei rimasto in quella città per molti mesi, parlando un’altra lingua assieme a coetanei europei. C’era un’innocenza e un’aspettativa immensa in quell’estate. Eravamo pieni di convinzioni e di futuro. Il mio grande amico di quei giorni era un ragazzo di Parigi, che si sarebbe perso nel maggio del ’68.
Ma dopo si sarebbe incanaglito tutto, le lotte ideologiche, gli odi, Praga, l’autunno caldo, le bombe, le stragi, il Cile, il terrorismo. Appunto però, sarebbe accaduto anni dopo. In quei giorni invece si fissava il futuro in modo radioso, sereno ed anche semplice, certo. Eravamo giovanissimi, ascoltavamo musica al Marquee Club di Wardour Street. I Beatles uscivano con Revolver, i Rolling Stone cantavano Paint it black. La sera eravamo a Le Kilt alla fine di Greek Street, tra i tessuti tartan alle pareti e sui divani, con l’incredibile diligenza piena di dischi in vinile da cui partiva la musica del DJ. Ho visto lì le più belle ragazze di Londra. Non so cosa ne è stato dopo di Sylvia, Pamela, poi Jane. Non so chi siano ora. E, a ripensarmi, ho come l’impressione di parlare di un figlio, un nipote, che sta ascoltando una musica lieve, una specie di piccola ballata che ripeteva “I want you” e la cantava la voce di un Bob Dylan, giovanissimo anche lui.
Il Redigaffi insomma è per me anche questo. Il carattere, il genere dei suoi profumi, quel senso di giovinezza immacolata che avverto, di candore, di bellezza, mi riportano sempre (stranamente, misteriosamente, fate voi) ad un tratto della mia giovinezza totalmente privo di nuvole, prima insomma che il disincanto e le ferite successive la turbassero.
Ma di questo vino ho avuto anche un’ulteriore panoramica in una verticale di annate più vecchie. Evento pubblico dunque, a cui per la verità partecipo di rado. E probabilmente sono oggi molto più asociale rispetto a quei lontani anni ’60. Però, parlando di questo lavoro, ho visto anche troppe degustazioni trasformarsi in un profluvio di fiere delle vanità a chi la spara più grossa. Nel loro piccolo (anche nel loro minimo) mi hanno spesso intristito, mi sono sembrate un deprimente spaccato della nostra società, con tutti i suoi vizi atavici, le sue macchiette, i rampanti, gli incompetenti, i tromboni, chi maschera la propria invidia dietro il nome di testate importanti. Certo, è sempre bene sorriderci su e perdonare magnanimamente (ma ho anche ascoltato cose che voi umani …).
In queste occasioni mi sono reso comunque conto di amare in modo smodato solo la parte migliore dell’umanità, quella che crea arte, bellezza, vini come il Redigaffi e poi lavoro, benessere, quella che apre alla generosità, al futuro, al pensiero. E non la trovo facilmente, mi sembra anzi di vivere in una fase di grande opacità e ristagno delle menti, in cui il nostro paese sta forse tirando fuori tutto il suo peggio.
Preferisco starmene così abbastanza solo. E una cosa seria e felice come quella di assaggiare vini importanti la vivo nella mia casa, potendoli testare più volte, appena aperti, a distanza di un’ora, poi di altre e così via, sempre in calici vocati a quel particolare vino, supersperimentati e, ovviamente, avvinati con molta cura.
Però, per una verticale del Redigaffi … Insomma, questo ed altro. Così “Arrivo!!!”.
Ed è stata, per la verità, un’esperienza positiva e molto utile.
Torno allora alle cose belle di questo mestiere, come seguire il grande filo conduttore che abbracciava le annate del Redigaffi, l’aria di naturale raffinatezza che le attraversava, quel loro tocco, la misura estrema. Partendo dalla valutazione del calice vendemmia 2010, che sulla costa dell’alta Toscana (al contrario che nel suo interno) non è stata un’annata grandissima, funestata da un po’ di piogge nel suo finale. Il Redigaffi però è anche una superselezione. E questo 2010 mi appariva di notevole bellezza, intensità, massa, con quella fisicità felice, libera, quel gran senso di vita piena che questo vino emana. Insomma bellissima versione, un po’ più spostata sulla solidità. Se vogliamo trovargli un limite che lo differenzia dalle annate maggiori, è nell’impressione di avvertirlo appena statico ai profumi. Parliamo appunto di una bottiglia e di un bicchiere sentito lì per un’ora. Ci metto dunque meno la mano sul fuoco, mi è parso però in un’espressione aromatica appena meno attiva, meno movimentata, rispetto alle migliori versioni.
La 2006 invece, frutto di una vendemmia grandissima e solare, era uno strepitoso Redigaffi, superbo nel colore, carico, quasi traboccante di frutto e di peso, estremamente ricco, maturo, dolce e delizioso agli aromi, baluginante di spezie. Tra tutti i campioni appariva con un carattere tanto mediterraneo da mostrare quasi una punta di opulenza barocca (chi sa, forse da vendemmiare un paio di giorni prima), ma vino che trovo comunque meraviglioso, grasso, infinitamente masticabile, espresso, in un suo netto, altissimo apice sferico. E ritengo che di tutti i Redigaffi assaggiati solo il 2011 ed il 2013 (che mi sembra nascano in un equilibrio più teso) potranno fare meglio e guadagnare nel tempo dei punti in più.
La 2005 è poi un’annata che ricordo bene, perché è stata quella da cui ho iniziato a seguire in modo continuo questa etichetta. Vendemmia che non si porta dietro una particolare fama, visto che nel centro della Toscana è stata funestata da molte piogge. La situazione però nel litorale è stata meno negativa, il mare ha sempre un effetto calmierante. E devo confessare, avendolo assaggiato 7-8 anni fa, che non me lo aspettavo così fresco, vivo, dinamico (a confermarmi ancora una volta come le annate piuttosto fresche diano vini lunghi, magari non grassissimi, ma che si evolvono magnificamente nel tempo). Molto buono ed appagante poi ai sapori, intrigante, anche con un suo bell’equilibrio e con quella particolare cremosità che è nel patrimonio intimo di questo vino.
Devo dire invece che la 2004, sulla quale nutrivo molte aspettative, perché è stata una grande annata un po’ in tutta la Toscana, mi ha sicuramente meno coinvolto. Ovviamente parliamo di un vino importante, in cui però i tannini prevalgono sul frutto e sulla polpa in modo fin troppo deciso, uno di quei rossi che al mio gusto appaiono un po’ aridi, disidratati, in un equilibrio insomma tutto spostato verso la loro parte scheletrica, che esprimono dunque più l’ossatura e i tendini della struttura che la dolcezza della loro carne e della loro polpa. Mi sembra per certi aspetti un vino un po’ antico e meno in linea rispetto al carattere ed allo spirito del Redigaffi, così prodigo invece di frutto delizioso, di crema morbida, di giovinezza, di gioia. Mi rendo conto, è una versione che potrà anche piacere molto, ma è di fatto meno nelle mie corde.
Sorprendente invece il 2003, visto che la memoria di quella estate torrida che si scatenò dai primissimi giorni di giugno su tutta la penisola la vivo ancora come un incubo. E poi, man mano, i vini che mi sono capitati di quell’annata, ovviamente di vario peso e misura, apparivano sempre segnati e piegati da mollezze, da note surmature, languori. Insomma rossi spenti, da bere in fretta, prima che potessero peggiorare ancora.
Le mie aspettative così erano davvero minime. Ero anche perplesso che un’annata del genere fosse stata scelta per una verticale di Redigaffi. Ed invece la sorpresa era dietro l’angolo, impensabilmente. Versione 2003 dunque fantastica, direi esemplare anche nel definire questo vino in tutti i suoi spazi espressivi. Mi sorprendeva la sua crema, l’estrema morbidezza e nello stesso tempo la fittezza decisa delle maglie, del tessuto, la finezza balsamica e mentolata che lo cospargeva su un vasto sfondo goudroneggiante. Un rosso bellissimo, carico di respiro, di gioventù, liscio, rasato al contatto, soave, raffinatissimo e contemporaneamente di totale naturalezza.
Il 1999 infine è un superbo vino al suo apice, che rende evidente come il Redigaffi sin dalla sua nascita sia partito così, con quegli aromi balsamici, quella crema ed al tempo stesso con quella forza. Nonostante il lungo tempo che ci separa da questa vendemmia, il vino appariva ancora soavemente terso e concentrato, vivo, pieno di voluminosità. Le note minerali, che pervadevano il frutto, ne segnavano come l’impronta digitale, lo collocavano in quel punto della terra, dicendo che il Redigaffi è lì e che alcuni uomini hanno avuto l’intuizione e la ventura di scoprirlo, di portarlo alla luce con quel vitigno, con quella meticolosità e quel lavoro.
E’ vero, parlo raramente degli uomini. Credo che in questo momento storico sia più importante focalizzarsi sui vini, cercare di capire cosa essi rappresentino realmente, concretamente, cosa significhi la dinamica espressiva di quell’etichetta nel panorama giovane del nostro nuovo vino. E quando leggo articoli sui personaggi del vino, ho spesso la sensazione di intravedervi della piaggeria, della complicità, strizzatine d’occhio e tutta una serie di comportamenti che poco mi persuadono.
Però alla fine di questo lavoro, che mi sono covato dentro per mesi, mi piace ed in fondo mi sembra bello e onesto pubblicare la foto che riunisce le persone vive che sono dentro la piena storia del Redigaffi, coloro che lo hanno progettato e seguito nel tempo, che lo hanno cresciuto in tutti i suoi giorni.
Impressa in un suo momento, è anche un’immagine che rappresenta le generazioni e l’esistenza che scorre. Con la bellezza di vita della viticoltura, la forza, il suo senso di progressivo e di continuità.
Ho già detto di Virgilio Bisti. Abbiamo così al centro della foto la signora Rita Tua, compagna di una vita di Virgilio, a segnare l’inizio del Redigaffi. Accanto a lei, la loro figlia Simena con, sull’altro lato, il marito Stefano Frascolla, altro fondamentale autore e continuatore di questo vino, a rappresentarne il presente. Al centro infine il loro figlio Giovanni, cui spetta il futuro e a cui auguriamo tutta l’umiltà, la creatività e la passione possibile per lo sviluppo e la crescita del Redigaffi, che, essendo appunto un’opera aperta, si rinnova ogni anno e avrà davanti ancora luoghi e percorsi.
Perché c’è una considerazione da fare al termine di tutti questi assaggi e su quanto in particolare ci hanno detto le ultime quattro vendemmie, ognuna appunto completamente diversa nell’andamento stagionale, in qualche caso anche assai problematico, ma che ha comunque espresso ogni volta un suo risultato perentorio.
La mia sensazione forte è che il Redigaffi stia entrando in una nuova dimensione, ancora più vasta, sicura, profonda e che questa impennata sarà più evidente, quando il grosso delle piante avrà compiuto e superato i 20 anni.
Anche per questo è bellissimo il mondo del nostro vino. I 20-30 anni che abbiamo alle spalle sono stati di scuola, di prove, lezioni ed apprendimento, quasi sempre con piante in vigna non più che bambine. Il prossimo decennio segnerà l’età adulta, quando si andranno ad unire il fondamentale patrimonio di informazioni che si è accumulato nelle conoscenze dei viticoltori e la ricchezza e l’ulteriore complessità che saranno in grado di dare le viti, ormai nel pieno delle loro qualità espressive.
In questo senso il Redigaffi ha già compiuto un percorso straordinario, che lo pone in un altissimo vertice, ma è sicuramente un vino tuttora in pieno movimento. La 2013 dà un forte indizio di questo. E’ rabbioso come non è mai stato, cerca e scava in profondità, traccia nuovi solchi. La 2014, pur in mezzo alle traversie di un’annata difficilissima, scova un tratto di soavità ancora più vasto e perfetto.
Per le vendemmie a venire ho così aspettative davvero alte. Sono convinto che nel nostro vino, e così nel Redigaffi, ci siano spazi del gusto tuttora intentati e inesplorati. E’ la positiva progressività del suo mondo a lasciarmi curioso, gli ulteriori luoghi da raggiungere, le possibili espressioni che ci daranno nuove sorprese e stupore, tanto da far scomparire il timore per il tempo che dovrà pure passare.
Del resto l’aspettativa credo sia la molla della nostra esistenza, immaginare il futuro è il nostro atto e cammino quotidiano, quando si sta bene e la vita ci piace molto, ci intriga.
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